I PIU' RICHIESTI

ALESSANDRO BARICCO

NOVECENTO





Novecento è scritto da Alessandro Baricco edito da Feltrinelli nell’ottobre 1994. Un monologo teatrale che Baricco scrisse per essere interpretato da Eugenio Allegri e con la regia di Gabriele Vacis. Questi ne fecero uno spettacolo nel luglio del 1994 che debuttò al festival di Asti. Secondo l'autore il testo può essere definito come una via di mezzo tra "una vera messa in scena e un racconto da leggere ad alta voce". Questo monologo di Baricco narra la vita stravagante di Danny Boodmann T. D. Lemon Novecento, "il più grande pianista che abbia mai suonato sull'Oceano", un uomo nato, vissuto e morto sul piroscafo Virginian.
Tratto da: www.qlibri.it


CARLO LUCARELLI

ALMOST BLUE



La sera è un ottimo momento per scrivere (sia recensioni che altro), poi, se accanto all'atmosfera si aggiunge anche un buon sottofondo Jazz le cose migliorano di molto. Così, vista la particolare situazione che si è stranamente creata, ho deciso di buttar giù due righe su un piccolo libretto giallo (neanche duecento pagine) comprato un po' di mesi fa e letto nel giro di pochi giorni, cioè "Almost Blue" di Carlo Lucarelli, autore molto popolare al quale hanno dedicato una bellissima serie a fumetti dal titolo "Cornelio".
Tornando all'opera in esame vi dirò, anche se è forse superfluo, che si tratta di un giallo, precisamente di un Thriller, ambientato nell'italica Bologna. In breve: un serial killer, soprannominato l' "Iguana", sta mietendo vittime in città e l'ispettore Grazia Negro, coadiuvata da Simone, un ragazzo cieco che adora "Almost Blue" suonata da Chet Baker, e dalle moderne tecnologie scientifiche cercherà di catturare il feroce assassino. Fino a qui tutto semplice, forse abbastanza banale, ma, non appena si comincia ad entrare nel vivo del racconto (vi assicuro che già dall'inizio il romanzo prende) ci si accorge che il nostro autore ha voluto inserire quel qualcosa in più che ha fatto uscire la sua storia dai bassifondi del già sentito per farla arrivare ai quartieri alti dell'originale e del tremendamente interessante. Mi spiego meglio: il punto focale dello scritto non è l'assassino o i personaggi che vi ruotano attorno, anche se Simone è secondo me una figura veramente maestosa nella sua fragilità e capacità di volare oltre il suo handicap,bensì il nodo è la musica e non a caso il titolo del lavoro è una canzone, la preferita del nostro sfortunato co-protagonista, il cui titolo è abbondantemente chiaro senza che lo ripeta nuovamente. Infatti, scorrendo le varie pagine vediamo che l'Iguana e Simone sono contrapposti da uno stile di vita che è espressione dei loro gusti musicali, cioè quando entra in scena il primo il sottofondo è una musica dura, violenta (una parte del libro è intitolata "Reptile", dalla song dei Nine Inch Nails), mentre al momento della comparsa del secondo è Beker a farla da padrone con la sua classe ed eleganza.
Un altro punto forte del romanzo di Lucarelli è sicuramente la caratterizzazione psicologica dei personaggi (la pragmaticità dell'ispettore Negro, la follia esasperata del killer e la continua ricerca di un contatto con il mondo esterno del giovane non vedente) e della città, la quale risulta quasi un vero e proprio attore della vicenda che dall'alto guarda e muove come pedine degli Scacchi (o della Dama, così non faccio torto a nessuno) le vite dei vari protagonisti della storia. Infine, in mezzo a tanto disfattismo e tensione psicologica, c'è anche tempo per l'amore, ma un amore particolarmente tenero, emozionale, fatto di sensazioni più che di contatto fisico, un sentimento che inconsapevolmente cresce nel tempo e quando bussa alla porta di coloro che ne sono coinvolti, essi non possono far altro che aprirgli, in quanto ormai è già entrato da un pezzo e il suo chiedere permesso è solo una questione di educazione.
In conclusione un libro bellissimo, coinvolgente ed efficace, consigliato a chi ha voglia di una lettura d'evasione che non per forza deve essere spoglia di contenuti, in quanto in un'epoca di vampiri innamorati è anche giusto tornare alla realtà, per quanto delle volte essa possa inorridire più di qualsiasi libro o film in circolazione.
Tratto da www.debaser.it


UMBERTO ECO
IL NOME DELLA ROSA




Il nome della rosa è il primo romanzo di Umberto Eco, pubblicato nel 1980. Il saggista e semiologo decide quindi di dedicarsi alla letteratura con un romanzo storicoambientato nel Medioevo, che si avvicina per molti elementi al genere "giallo". Il romanzo ha ottenuto grande successo sia in Italia sia all’estero, venendo tradotto in 47 lingue. Ha vinto il Premio Strega del 1981.

Il romanzo è ambientato nel 1327 in un monastero benedettino dell’Italia settentrionale ed è narrato in prima persona dal protagonista, Adso da Melk, che ormai anziano racconta le vicende accadute al monastero, e le indagini condotte dal suo maestro, Guglielmo da Baskerville. L’intera vicenda si sviluppa in sette giorni, che Adso nelle sue memorie suddivide secondo la scansione del giorno dellaregola benedettina (mattutino e laudi, ora terza, ora sesta, ora nona, vespri, compieta). Guglielmo da Baskerville, monaco inglese ed ex inquisitore seguace del filosofo Ruggero Bacone, ha l’incarico di mediare un incontro tra francescani, protetti dall’imperatore Ludovico il Bavaro, e gli emissari del papa di Avignone, Giovanni XXII. Il monaco inglese e il suo allievo giungono all’abbazia, dove, durante la loro permanenza di una settimana, vengono uccisi sette monaci: tutti i delitti sembrano ruotare attorno alla biblioteca del monastero, che nasconderebbe un misterioso segreto. Indaga anche l’inquisitore Bernando da Guy, che condanna al rogo due monaci (ex eretici dolciniani) e una donna, accusandoli degli omicidi senza avere prove valide. Guglielmo da Baskerville, con l’aiuto del suo allievo, scoprirà il vero responsabile e il movente: tenere nascosta la scoperta ed evitare la lettura delsecondo libro della Poetica di Aristotele, dedicato alla commedia e in particolare al riso. Un terribileincendio che distrugge l’abbazia e il manoscritto conclude il romanzo e le indagini di Guglielmo.

Il nome della rosa si presenta come un romanzo complesso, non appartenente a un singolo genere e che sotto la patina "gialla" cela la ricchezza di rimandi intertestuali e il gioco citazionistico (dai classici latini alla letteratura medievale, dai romanzi ottocenteschi alla cultura dei mass-media) tipicamentepostmoderno del suo autore. Innanzitutto si tratta di un romanzo storico, sul modello dei Promessi sposi di Manzoni, in cui vicende e personaggi inventati sono calati in una determinata epoca storico e contesto sociale. In questo caso Eco ricostruisce l’Italia medievale delle controversie religiose e degli scontri tra Papato e Impero, inserendo oltre a personaggi inventati, anche figure storiche, come l’imperatore Ludovico il Bavaro o fra Dolcino; mentre l'ambientazione e l’atmosfera ricordano quelle dei romanzi gotici del Sette-Ottocento. I delitti e le indagini sono tipici del romanzo giallo: lo stesso nome di Guglielmo da Baskerville ricorda in maniera trasparente il titolo del noto romanzo di Arthur Conan Doyle, Il mastino dei Baskerville, una delle più famose indagini di Sherlock Holmes. Holmes e il monaco inglese (cui ovviamente corrispondono il dottor Watson e il buon Adso...) utilizzanno il metodo deduttivo, basato sulla ragione e la scienza, per arrivare ad accertare la verità; a differenza del modello classico del giallo però, Il nome della rosa si conclude con il successo dell’assassino, che, pur morendo, riesce a distruggere il manoscritto di Aristotele.

Diversi sono i livelli di lettura del romanzo, che presenta diversi riferimenti filosoficiletterari emetanarrattivi; il lettore viene sfidato dallo scrittore a individuare questi indizi all’interno dell’opera e a riconoscere le citazioni, colte o esplicite che siano. Così, al piano della trama si intreccia sempre la riflessione dell'autore, sulla scorta dei suoi interessi filosofico-semiologici, sulla pluralità delle letturepossibili che ogni testo (compreso il suo) può avere. Lo stesso titolo del romanzo (tra quelli scartati,L'abbazia del delitto e Adso da Melk) è assai indicativo in questo senso: da un lato, esso rimanda alla complessa simbologia della rosa, presente in moltissime opere della letteratura medievale. Dall'altro esso si ispira, come spiega Eco stesso, ad un esametro tratto dal De contemptu mundi di Bernardo Morliancense, autore del XII secolo. Sostituendo "Roma" con "rosa" (e ricollegandosi ironicamente alla nota "disputa sugli universali" della filosofia scolastica medievale), lo scrittore pone alla fine del suo libro la frase: “Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus” ("la rosa primigenia esiste solo come nome, noi possediamo nomi nudi"), sottointendendo così che a fondamento della realtà (delle cose umane, e quindi anche alla base di ogni nostro percorso di conoscenza e di indagine) rimangono solo i "nomi". In questo caso il verso può essere spiegato come una riflessione sulla transitorietà delle cose, di cui, alla fine, rimane solo l'aspetto verbale.
Tratto da www.oilproject.org

SUSANNA TAMARO
ANIMA MUNDI

Anima Mundi” è un libro di Susanna Tamaro che racconta la storia di Walter, un ragazzo che attraversa fuoco, terra e vento per conoscere se stesso. Fuoco, terra e vento che nella tradizione cinese rappresentano le tre fasi della vita di un essere umano: la prima fase riguarda il tempo per crescere, la seconda per sperimentare la precaria seduttività del mondo e la terza, quella più profonda, per approdare alla vera essenza delle cosa.Un libro che racconta delle trasformazioni interiori che si susseguono in ognuno di noi, dei cambiamenti naturali che affiancano il normale ciclo evolutivo. Naturalmente ogni cambiamento porta con sè i suoi “effetti collaterali” ed è proprio su quest’ultimi che l’autrice focalizza l’attenzione del lettore verso il protagonista.
Anima Mundi è il titolo per sostenere che l’anima è il centro più profondo dell’essere umano, il punto più misterioso perché nessuno può vederlo.L’anima del mondo rappresenta così il principio unificante da cui prendono forma i singoli organismi, nonostante la loro diversità, risultano legati da un’anima universale.
In questo suo romanzo che possiamo definire di “formazione”, Susanna Tamaro dimostra con grande coinvolgimento che, per quanto sia difficile conquistare la pace interiore, è comunque possibile trovare una via che porta al cuore. E che solo chi è capace di donare tutto se stesso verso questo scopo, raggiunge quella che viene chiamata felicità. Un’opera in cui vengono sicuramente approfonditi alcuni dei temi fondamentali dell’esistenza umana, e attraverso di essa parte un messaggio di autentica responsabilità di fronte al comandamento più difficile, ma anche più affascinante: vivere, vivere con la consapevolezza che nulla è dovuto, ma altresì, nulla è perso.
Camminavo tra i vialetti del parco e pensavo a questo, cercavo di immaginare una vita differente. Tra la disperazione e la normalità, ci sarà pure una strada traversa. È come essere in un bosco, c’è il sentiero che stai percorrendo, è battuto bene e segnato con una linea rossa sulle carte. Poi ti stufi, l’hai fatto già troppe volte. Vai un po’ a destra e un po’ a sinistra. Alla fine ne trovi un altro, il suo ingresso è nascosto dai cespugli, non sai dove conduce, ma non importa. Per la felicità già cammini in modo diverso.” Dal libro – Anima Mundi – di Susanna Tamaro
Tratto da: wwwtragicomico.it

LUIGI PIRANDELLO
I VECCHI E I GIOVANI

Don Ippolito Laurentano se ne sta arroccato, fedele ai Borboni malgrado la vittoria dei garibaldini e l'avvenuta unità d'Italia, nel suo feudo di Colimbètra, nell'estrema Sicilia. Vedovo, dispone di una pittoresca milizia privata composta da venticinque uomini, tutti in uniforme variopinta, capeggiati dal poco marziale Placido Sciaralla.

Il fratello del principe, don Cosmo, vive appartato a Valsanìa, il cervello "sconvolto" dai libri di filosofia, scetticamente convinto della vanità del tutto. Si tratta di un alter ego di Pirandello, di un uomo che, più che viverla, la vita la contempla e la seziona cercando di comprenderne moventi e significati. Per le questioni pratiche che concernono la conduzione delle sue terre, don Cosmo si serve di Mauro Mortara, un vecchio garibaldino fedele agli ideali del Risorgimento.

È Mauro Mortara una delle figure centrali del romanzo, una sorta di avventuroso personaggio conradiano, rotto a tutte le esperienze, circondato dai suoi tre cani mastini, grande viaggiatore ora dedito alle cure della campagna, ma soprattutto rude e genuino patriota, a disagio nella nuova società postrisorgimentale.

La sorella di don Ippolito e di don Cosmo, donna Caterina Laurentano, è vedova di un eroe della patria, morto nella battaglia di Milazzo: Stefano Auriti. Caterina vive lontana dai parenti e rifiuta con nobiltà e ostinazione gli aiuti economici che le offre generosamente il fratello principe.

Flaminio Salvo è un borghese che si è arricchito con le solfare. Imprenditore privo di scrupoli, egli è disposto a servirsi di tutte le astuzie e di tutti gli intrighi della politica, pur di accrescere il suo potere e i suoi averi. Il suo braccio politico è il deputato del partito clericale Ignazio Capolino, della cui moglie Salvo è l'amante. Capolino, i cui rapporti coniugali sono fondati su una rappresentazione tutta esteriore di rispettabilità borghese, è un burattino i cui fili sono manovrati dal Salvo. 

Tuttavia l'esistenza di Flaminio Salvo, come quella di tutti, non è priva di problemi: la vita privata gli è fonte di grandi amarezze, causate almeno in parte dalla distruttività del suo stesso carattere: gli è morto un figlio bambino, la moglie è pazza, mentre la figlia, Dianella, è una creatura molto intelligente e delicata, la cui fragilità psichica la rende inadatta ad affrontare gli urti della vita. Per migliorare ulteriormente la sua posizione economica e sociale, il Salvo propone in moglie a don Ippolito la propria sorella, Adelaide.

Il matrimonio ha luogo, ma è troppa la differenza di sensibilità e di cultura tra i due, che presto vedono naufragare la propria unione fra incomprensioni, noia e disgusto. Adelaide è una gaffeur vacua e sempliciona, poco adatta al carattere raffinato e ombroso del principe.
Intanto il figlio di donna Caterina, Roberto Auriti, dopo una brillante carriera politica nel partito di governo, viene poco onorevolmente coinvolto nello scandalo finanziario della Banca Romana, mandando in frantumi le speranze di quanti speravano dall'unità nazionale e dalle nuove generazioni subentranti, l'avvento di una classe dirigente che sapesse completare il lavoro degli artefici del Risorgimento. Roberto Auriti viene arrestato e la mamma, donna Caterina, per lo strazio ne muore. Un altro deputato, Selmi, vero responsabile dell'ammanco, alla cui superficiale, ma affascinante mercurialità la vita ha sempre sorriso, si suicida
La Sicilia è, nel romanzo, teatro delle prime rivolte proletarie e dell'ascesa del movimento socialista. Quella operaia è tuttavia una ribellione ancora immatura e poco consapevole e anziché a un miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori porta ad atroci fatti di sangue, come l'orrido assassinio della moglie del deputato Capolino, Nicoletta e di Aurelio Costa, brillante ingegnere alle dipendenze del Salvo 
Membro del Comitato centrale dei Fasci è Lando Laurentano, figlio del principe Ippolito, esponente di spicco di quella che è la nuova generazione, la possibile nuova classe dirigente. Anch'egli è uno sconfitto: sorta di superuomo ambizioso e romantico, pur non condividendo le degenerazioni sanguinarie del movimento è costretto, per sfuggire alla cattura, all'esilio.
Vittima simbolo della disfatta di ideali e di progettualità della nuova società italiana e della deriva violenta assunta dall'anelito di emancipazione delle classi popolari sarà Mauro Mortara, ucciso per sbaglio dalle pallottole dei soldati, mentre intendeva aiutarli a sedare la rivolta.

Romanzo storico che ritrae la crisi dell'Italia postunitaria e il crollo delle speranze  e dei valori risorgimentali, I vecchi e i giovani, pubblicato nel 1913, ispirato a fatti di cronaca realmente accaduti e a una linea narrativa che va da Verga a De Roberto, è un bel romanzo che si legge con piacere, malgrado il giudizio poco benevolo di gran parte della critica, che rimprovera a Pirandello di scadere in una rappresentazione bozzettistica di tipi e ambienti. 

Personalmente mi sono trovato bene in compagnia dei personaggi di Pirandello, la cui psicologia, almeno per quanto riguarda i personaggi principali, non è mai scontata, ma complessa, contraddittoria, ben delineata nella sua caotica ricchezza dal ricorso frequente dell'autore al discorso indiretto libero. In alcuni brani del romanzo emerge con particolare forza la crisi dell'uomo moderno, l'identità complessa e frazionata di ciascuno di noi, l'io diviso, temi che saranno poi sviluppati nelle opere maggiori.  


Si tratta di un romanzo con forti valenze sociologiche. Un occhio penetrante, quello di Pirandello, sulle condizioni socioeconomiche dell'isola e dell'Italia. E non vi descrive soltanto i vizi della Sicilia, ma degli italiani in genere. E non solo quelli di ieri: il romanzo sa ergersi a classico capace di parlarci  anche (o soprattutto?) della realtà attuale. E così il lettore contemporaneo può diventare maggiormente cosciente della sostanza e delle cause di alcuni difetti nazionali: l'arrivismo, il piccolo cabotaggio della politica, fatto di meschine trame, la corruzione ("la corruzione era sopportata come un male cronico"), il malgoverno, l'incapacità delle classi dirigenti, sia di destra che di sinistra, le mafie, i gruppi di pressione, l'affarismo, il potere economico che condiziona pesantemente quello politico, il parassitismo, i fessi che lavorano e i furbi che campano agiatamente sul lavoro degli altri. Pirandello fa dire a un suo personaggio:

"Mangia il Governo, mangia la Provincia; mangia il Comune e il capo e il sottocapo e il direttore e l'ingegnere e il sorvegliante... Che può avanzare per chi sta sotto terra e sotto di tutti e deve portar tutti sulle spalle e resta schiacciato?...".


Un affresco composito, corale, ricco di personaggi, che rende quasi indispensabile al lettore tracciarne una sorta di mappa, almeno mentale, per orientarsi. Ma è un incomodo che viene ampiamente ripagato dalla lettura.

Il  paesaggio siciliano è molto ben definito nel romanzo, con il clima e la vegetazione descritti con lirica precisione.

Riguardo allo stile, dialogo e monologo si alternano per rendere più espressiva la narrazione, con il ricorso a una lingua che si approssima elegantemente al parlato, riproducendolo nella struttura sintattica e lessicale.
Se un limite, a mio avviso, va ascritto a I vecchi e i giovani è talvolta l'indulgere di Pirandello al melodrammatico.

Tratto da: www.interruzioni.it

CESARE PAVESE
IL MESTIERE DI VIVERE


Il mestiere di vivere contiene il diario di Cesare Pavese iniziato nel 1935 quando era confinato a Brancaleone Calabro e finito nel 1950, anno del suo suicidio. Un diario disperato, vitale, letterario, amoroso, che forse Cesare Pavese non avrebbe pubblicato: troppo di sé, dei suoi problemi intimi, troppa disperazione, ma anche problemi religiosi, di letteratura, di etimologia. Una cosa privata, insomma. Massimo Mila e Natalia Ginzburg, nel 1952, ritengono che vada pubblicato perché di sommo interesse, di parole che non dovevano restare nascoste. Un piccolo capolavoro. Pavese aveva una cultura formidabile, suoi amori erano i grandi classici latini e greci, le parole della poesia e le parole dei romanzi, così differenti. 
Era ossessionato dal significato delle parole:
"Il poetare è una ferita sempre aperta, donde si sfoga la buona salute del corpo".
Poi c’erano i problemi amorosi: Pavese non era bello, non era un entusiasta, non conosceva arti seduttive. Aveva il fascino dell’intellettuale, un po’ come Leopardi, e infatti questo è uno Zibaldone meno lungo.
Scrittura cruda ridotta all’osso. Pavese era anche misogino per problemi che trovate nel diario. Ritroviamo poi la sua crudele visione della vita:
"Ma la grande, la tremenda verità è questa: soffrire non serve a niente"
"C’è un’arte di ricevere in faccia le sferzate del dolore che bisogna imparare. Lasciare che ogni singolo assalto si esaurisca; un dolore fa sempre singoli assalti - lo fa per mordere più risoluto e concentrato. E tu, mentre ha i denti piantati in un punto e inietta qui il suo acido, ricordati di mostrargli un altro punto e fartici mordere - solleverai il primo. Un vero dolore è fatto di molti pensieri; ora, di pensieri se ne pensa uno solo alla volta; sappiti barcamenare tra i molti, e riposerai successivamente i settori indolenziti".
Pavese non è mai contento di quello che scrive, di come vive, di quello che ha. La sua solitudine è infinita, nonostante avesse amici meravigliosi e sempre propensi a rendergli la vita meno orribile.
In un hotel il 26 agosto 1950 lo scrittore mette fine a tutto uccidendosi. Aveva scritto pochi giorni prima nel diario:
"Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più".

Tratto da: www.sololibri.net


ALESSANDRO MANZONI

I PROMESSI SPOSI


Romanzo storico per eccellenza, il primo della letteratura italiana, la più famosa opera di Alessandro Manzoni,si impone nel panorama europeo e diventa subito un capolavoro.

La vicenda si snoda in 38 capitoli ed è ambientata a Licate, paesino in provincia di Lecco. Qui abitano Renzo e Lucia, i promessi sposi, al cui matrimonio si oppone don Rodrigo, per un capriccio e una scommessa fatta col cugino don Attilio. L’azione si apre il 7 novembre del 1628 e abbraccia circa due anni della storia italiana sotto la dominazione spagnola, mentre impazzano carestia e peste. Aiutante degli sposi è padre Cristoforo, del convento di Pescarenico. Personaggi di spicco sono: Geltrude, la Monaca di Monza, che ospiterà nel suo monastero Lucia; l’Innominato, che farà rapire Lucia e si convertirà al cospetto del Cardinale Federico Borromeo; il conte Attilio, cugino di don Rodrigo, ribelle e provocatore; l’avvocato Azzecarbugli, presso cui si recherà  Renzo in cerca di giustizia, trovando invece un uomo colluso con potere dei signorotti; Agnese, madre di Lucia, donna buona ma poco avveduta, cattiva consigliera; don Abbondio, che, spinto dai bravi, si rifiuta celebrare le nozze; Perpetua (nomen omen) che vive con don Abbondio, donna pettegola e paesana; donna Prassede, conformista e piena di pregiudizi, che ospiterà Lucia, dopo la conversione dell’Innominato, don Ferrante, noto per la sua biblioteca e alcuni altri di minor spicco, anch’essi però finemente caratterizzati.
La storia, dopo un intreccio molto articolato, vede il matrimonio dei due, mentre la maggioranza dei personaggi muore di peste, tra cui anche padre Cristoforo (il Bene) e don Rodrigo ( il Male).
Il romanzo è una sorta di manifesto letterario della cultura romantica europea, perché in esso ritroviamo tutte le peculiarità di questo movimento letterario.
Celebri sono le sue descrizioni geografiche: del lago di Como, che fa da incipit al romanzo, del percorso a piedi  di padre Cristoforo  da Pescarenico a Licate, con una natura autunnale che riflette lo stato pensoso del frate. In queste descrizioni si esprime tutto il sentimento romantico dell’autore, che pone l’elemento Natura al centro della sua riflessione, una Natura buona, ma deturpata dalla cattiveria degli uomini, una Natura romanticamente specchio del sentire dei personaggi, mentre  don Abbondio, uomo vile e insensibile, non entra in sintonia con essa, dimostrando così la sua grettezza d’animo.
Ben caratterizzati i protagonisti: Lucia, donna devota con poche idee ma chiare, Renzo, baldanzoso ventenne giovinotto, pieno di entusiasmi giovanili, ma un po’ ingenuo, subirà una profonda trasformazione interiore a contatto con eventi più grandi di lui, come il tumulto di Milano nel quale si troverà coinvolto. Padre Cristoforo, che porta tutti i segni del suo travaglio interiore, l’Innominato con la sua conversione nella celebre notte. Geltrude, un caso di monacazione forzata, con tutta la sofferenza connessa.
Fortissimo è l’amor di patria e la denuncia sociale in un opera di alto impegno civile e d etico di un autore che, pur  permeato dal pessimismo storico, si rifugia in una Fede profondissima.
Il Male domina la Storia, ad esso si può contrapporre quel po’ di Bene che possiamo, se riponiamo fiducia in Dio e nella Provvidenza, che guida dall’alto la vicenda umana garantendo un lieto fine al romanzo.

Tratto da: www.aphorism.it



ITALO CALVINO

I NOSTRI ANTENATI



I nostri antenati è una trilogia costituita dai romanzi Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957) e Il cavaliere inesistente (1959) diItalo Calvino. L'autore stesso ha suggerito di considerare collegati i tre romanzi, quando già tali romanzi erano stati pubblicati e affermati presso critica e pubblico. E difatti ne dispose un'edizione (per la prima volta presso Einaudi nel 1960) con i tre romanzi legati.

Il libro passò nel 1985 a Garzanti per poi entrare nel catalogo di Mondadori dal 1991. Una breve Nota[1] è stata premessa o messa a conclusione nelle varie edizioni. Anche in occasione della traduzione inglese di Archibald Colquhoun (1980), Calvino ne scrisse una premessa, dove dice: "Il racconto nasce dall'immagine, non da una tesi che io voglia dimostrare; l'immagine si sviluppa in una storia secondo una sua logica interna; la storia prende dei significati, o meglio: intorno all'immagine s'estende una serie di significati che restano sempre un po' fluttuanti, senza imporsi in un'interpretazione unica e obbligatoria. Si tratta più che altro di temi morali che l'immagine centrale suggerisce e che trovano un'esemplificazione anche nelle storie secondarie: nel Visconte storie d'incompletezza, di parzialità, di mancata realizzazione d'una pienezza umana; nel Barone storie d'isolamento, di distanza, di difficoltà di rapporto col prossimo; nel Cavaliere storie di formalismi vuoti e di concretezza del vivere, di presa di coscienza d'essere al mondo e autocostruzione d'un destino, oppure d'indifferenziazione dal tutto"
Tratto da: www.wikipedia.org





BEPPE SEVERGNINI
ITALIANI CON VALIGIA

“Noi Italiani non facciamo niente in maniera normale” scrive Beppe Severgnini. “Facciamo tutto da italiani, e questo non è necessariamente un difetto.” Anche quando prendiamo una valigia e partiamo, ci portiamo dietro le nostre qualità e le nostre squisite leggerezze. Se in Italia ci diamo un contegno, varcata la frontiera viene fuori di tutto: l’incoscienza e la generosità, l’intuito e il pressapochismo, la rustica astuzia che porta al furto sistematico dei bottiglini di shampoo dalle stanze dell’albergo.
Severgnini racconta i suoi viaggi in cinque continenti. Con salutare autoironia, ci accompagna lungo la ferrovia Transiberiana e poi su aerei cinesi, auto americane, taxi sudafricani. In questa nuova edizione, ci guida attraverso ventun città del mondo, visitate nel corso di quindici anni (da Atlanta a Zagabria, passando per Dublino, Berlino e Pechino). Rientrato in patria, esplora la “repubblica sul Mare”, percorrendo la costa da Trieste a Ventimiglia. Poi, guidato dai lettori, indaga la provincia italiana.
Italiani con valigia non è un libro umoristico nè una guida turistica, sebbene i turisti vi troveranno spunti e indicazioni. E’ invece un libro di viaggio per italiani, come in Italia non se ne scrivono quasi più.

Tratto da: www.beppesevergnini.it





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