sábado, 23 de abril de 2016

Pronti Partenza...Via, alla scoperta di MANTOVA





ARCHITETTURA E ARTE
La città, con vie e piazze fiancheggiate da bassi portici, è caratterizzata da edifici e opere tardo-medievali e rinascimentali, anche di capitale importanza. Nella centrale piazza delle Erbe, dove sono il palazzo della Ragione (13° sec., rimaneggiato), la torre dell’orologio (1473) e il Broletto (13° sec.), c’è il monumento più antico di M., la rotonda di S. Lorenzo (11° sec.). Nella vicina piazza Mantegna si erge S. Andrea, costruita (facciata e corpo anteriore) da L. Fancelli (1472-94) su disegno di Alberti (grandioso interno a una navata fiancheggiata da cappelle, coperta da una imponente volta a botte). Presso il duomo, ricostruito da Giulio Romano (cappella dell’Incoronata attribuita a Fancelli), sorge il Palazzo Ducale, complesso di edifici dei secoli 13°-18° intorno al castello di S. Giorgio (Bartolino da Novara 1380). Sede dell’omonimo Museo, ha ambienti ricchi di importanti decorazioni e opere d’arte: la sala del Pisanello, la Camera degli sposi, affrescata da A. Mantegna, e i due ‘studioli’ di Isabella Gonzaga, adorni di marmi e di legni preziosamente intagliati. Altri monumenti notevoli: S. Sebastiano (Alberti, iniz. 1460); casa di Mantegna, su progetto dell’artista; casa di Giulio Romano, su progetto dell’artista; S. Francesco, gotica (15° sec.; restaurata dopo il 1944). Fuori di città è il celebre Palazzo del Te, grandiosa villa progettata per i Gonzaga e decorata da Giulio Romano (affreschi nelle sale di Psiche, dei Giganti ecc.). Nel palazzo dell’Accademia Virgiliana si trova il teatro scientifico di A. Bibiena (1769). Caratteristiche, nel profilo della città, le torri della gabbia, dello Zuccaro e della Trinità (11°-12° sec.). Tra le costruzioni moderne la cartiera Burgo di P.L. Nervi (1960-63). La manifattura di arazzi legata all’arazziere Jean de France (1419 ca.) fu attiva fino alla morte di Ludovico Gonzaga (1478).Fra le biblioteche, la Comunale (istituita da Maria Teresa d’Austria nel 1790) ha preziosi codici miniati, incunaboli, cinquecentine, manoscritti ebraici e risorgimentali. Nel 2008 è stata dichiarata dall'UNESCO, insieme a Sabbioneta, patrimonio dell'umanità. Nell'ottobre 2015 la città è stata designata Capitale italiana della cultura per il 2016.
tratto da: www.treccani.it

sábado, 16 de abril de 2016

Pronti Partenza...Via, alla scoperta di PARMA





La citta' di Parma

Comune dell’Emilia-Romagna (260,8 km2 con 178.718 ab. nel 2008, dettiParmigiani e meno comunemente Parmensi) capoluogo di provincia. La città, tagliata da E a O dalla Via Emilia e da S a N dal torrente Parma, sorge nella pianura uniforme. La parte della città posta alla destra del torrente è detta P. Nuova, quella a sinistra P. Vecchia (o Oltretorrente). L’espansione verificatasi a partire dalla Seconda guerra mondiale ha visto il sorgere di nuovi quartieri nell’Oltretorrente, nelle direzioni settentrionale e sud-orientale, lungo la Via Emilia e lungo la statale della Cisa.
La popolazione comunale ha subito negli anni 1980 un netto decremento, in corrispondenza di un decentramento demografico e di un progressivo incremento di funzioni terziarie nei centri minori del territorio comunale. Dopo un periodo di stagnazione demografica negli anni 1990, si è manifestata recentemente una lenta ripresa, dovuta in massima parte all’aumento dei flussi d’immigrazione.


L’economia di P. è tradizionalmente agricola: le campagne intorno alla città producono cereali, ortaggi, barbabietola da zucchero, vite, e gran parte delle industrie che vi hanno sede (conservifici di pomodori e frutta, molitura di cereali, pastificio, industria casearia, produzione di fertilizzanti, calzaturifici, lavorazione degli alcoli e della carta) si sono sviluppate in stretta connessione con l’agricoltura e l’allevamento. Produzioni specializzate sono, in particolare, quelle del prosciutto di P. e del parmigiano.
Tratto da: www.treccani.it

sábado, 9 de abril de 2016

Ennio Morricone - Metello (1970)





VASCO PRATOLINI
METELLO

Pratolini,Vasco. -Scrittore e sceneggiatore italiano (Firenze 1913 - Roma 1991). Considerato uno dei maggiori scrittori italiani del secondo Novecento, alcuni dei racconti e romanzi di Pratolini., rappresentano il momento migliore della tradizione realista e, in parte, neorealista.
VITA
Esercitò da ragazzo i più umili e vari mestieri, studiando da autodidatta. Conobbe Rosai e Vittorini e fu legato agli ambienti del fascismo di sinistra., collaborando al Bargello. Passò presto all'antifascismo, avvicinandosi alle posizioni comuniste; ebbe stretti rapporti con gli ermetici fiorentini. Cominciò a farsi conoscere nell'ambiente di Letteratura e di altre riviste fiorentine, di due delle quali, Campo di Marte e Incontro, fu anche redattore (1938-40). Nel 1939 si trasferì a Roma; partecipò alla lotta partigiana e alla fine del 1945 si trasferì a Napoli, dove insegnò all'Istituto Statale di Arte. Nel 1951 tornò a Roma, dove ha poi sempre vissuto, impegnato nel suo lavoro di scrittore, fedele alla tradizione della sinistra, ma inquieto di fronte agli sviluppi della lotta politica e sociale e alla crisi mondiale del marxismo.


OPERE
Nei primi suoi racconti (Il tappeto verde1941Via de' Magazzini1942Le amiche,1943; poi riuniti, con altri, sotto il titolo Diario sentimentale1956), ispirati da ricordi della sua adolescenza e da un trepido interesse per la vita dei poveri, del popolo minuto della propria città e quartiere, sono già presenti i due modi e toni fondamentali della sua narrativa; l'uno di memoria lirica, per cui la realtà anche più cruda, la «cronaca» intima più sanguigna, vengono trasposte in prospettive vagamente elegiache; l'altro di un realismo più disincantato o risentito, che sembra contaminare la tradizione toscana (dal bozzettismo ottocentesco a Tozzi, Cicognani, Pea) con la lezione di certa narrativa americana. Nei racconti e romanzi successivi (Il quartiere1944Cronaca familiare1947Cronache di poveri amanti,1947Mestiere di vagabondo1947Un eroe del nostro tempo1949Le ragazze di Sanfrediano1952), quei due modi si vennero spesso divaricando; e mentre il primo giunse a dare magiche trasparenze ai motivi autobiografici di P., in pagine che contano senz'altro fra le sue migliori (come in Cronaca familiare), l'altro, quello realistico-sociale, indulgendo talora a un populismo di maniera, di rado si sottrasse ai pericoli di un'immediatezza affettiva e oratoria. Finché in Metello (1955), primo tempo di «Una storia italiana», quei modi e toni riescono a trovare una loro felice convergenza dando luogo, più che a un romanzo, a un ampio affresco di vita collettiva e individuale, sociale e sentimentale. Il romanzo collocava la vicenda anche sentimentale di un giovane muratore fiorentino nell'ambito dello sciopero degli edili del 1902. Meno felici risultano i due romanzi che completano la trilogia (Lo scialo1960, in cui spostava le date fino agli anni dell'avvento al potere del fascismo, e perciò si caricava di un senso di quasi indegno sfacelo e di un pessimismo paralizzante l'intera società; e Allegoria e derisione, 1966, in cui portava la storia agli anni della Resistenza e arrivava − al di là della Favola che intendeva dare in forma allegorica il senso della lotta politica − a congiungere il romanzo, in cui il personaggio Valerio coincide con lo stesso autore, con l'autobiografia). I volumi di «Una storia italiana» erano stati intervallati nel 1963 da un altro romanzo, La costanza della ragione (1963), che porta la vicenda fino agli anni 1956-60, delineando tutte le lotte e le incertezze ideologiche di quel periodo, soprattutto all'interno del Partito comunista italiano. Ma anche in questo romanzo, come nei precedenti, alla storia maggiore si mescola la storia minore e privata dei singoli personaggi e dei loro forti moti sentimentali, l'amore e il dolore. E così pure trovano ulteriore conferma lo stile e la lingua di P., fortemente comunicativi e sensibilmente ma non fastidiosamente patinati di accenti fiorentini rispondenti al progetto sostanzialmente realistico del suo narrare. Autore anche di versi (La città ha i miei trent'anni1967), P. pubblicò nel 1985 Il mannello di Natascia e altre cronache di versi e prosa (1930-1980); postume (1992) sono apparse le Cronache dal Giro d'Italia (maggio-giugno 1947). P. fu in modo atipico un grande sceneggiatore il cui vero interesse era la rappresentazione drammatica di un ambiente. Per P. la sceneggiatura aveva sempre un rapporto diretto con un racconto o con un romanzo; doveva funzionare come una «storia raccontata due volte» e quindi come una vicenda che, anche nel cinema, era votata a mantenere un legame diretto con l'oralità del reale. Il rapporto di P. con il cinema fu sempre continuo e importante.  L'anno successivo con L. Visconti e S. Cecchi D'Amico lavorò alla sceneggiatura diCronache di poveri amanti, anche se la regia del film venne realizzata da C. Lizzani nel 1954. Nel 1953 P. collaborò alla sceneggiatura di Cronaca di un delitto di M. Sequi e di La domenica della buona gente di A. G. Majano (tratto dall'omonimo radiodramma di P. e di G.D. Giagni); l'anno seguente a Terza liceo di L. Emmere a Tempi nostri (Zibaldone n.2) di A. Blasetti. Furono comunque gli ultimi anni Cinquanta e i primi Sessanta a rappresentare il momento di maggiore impegno di P. per il cinema. Nel 1960, da giugno a ottobre, tenne la rubrica di critica cinematografica per il settimanale milanese «ABC». Nel 1962 avvenne però la consacrazione più importante con il film Cronaca familiare di V. Zurlini, tratto dal suo romanzo omonimo che lo stesso P. adattò lavorando al soggetto e alla sceneggiatura. Nel 1972 collaborò - e fu il suo ultimo lavoro per il cinema - alla sceneggiatura di La colonna infame (1973), di N. Risi, tratto dalla Storia dellacolonna infame di A. Manzoni.
Tratto da www.treccani.it

sábado, 2 de abril de 2016

Michele Riondino legge "Io non ho paura" di Niccolò Ammaniti - Audiolibro





AmmanitiNiccolò. – Scrittore italiano (n. Roma 1966). Ha esordito nel genere pulp, diventandone uno dei maggiori esponenti grazie al romanzo Branchie (1994), alla raccolta di racconti Fango (1996) e alla partecipazione all’antologia Gioventù cannibale (1996) con un racconto scritto a quattro mani con Luisa Brancaccio. La notorietà arriva però con Io non ho paura (2001), da lui stesso trasposto nel film di Gabriele Salvatores del 2003: con una narrazione tesa e dal ritmo veloce, perfettamente resa dalla pellicola, A. riesce a raccontare la scoperta del male vista con gli occhi di un bambino. Una storia giocata su due livelli contrapposti – la luce e il buio, il mondo dei bambini e quello degli adulti – capace di risvegliare paure profonde. Come Dio comanda (2006, premio Strega 2007, anch’esso trasposto in film da Salvatores nel 2008) mette in scena il complicato rapporto tra un ragazzino e suo padre in una degradata periferia urbana. Nonostante il buon successo di vendite, il romanzo ha suscitato reazioni differenti e anche molte stroncature da parte della critica. Così per il successivo, Che la festa cominci (2009), in cui torna alle note pulp degli esordi. In Io e te (2010) offre invece un nuovo scorcio al paesaggio dell’adolescenza, attraverso la vicenda di un quattordicenne introverso e un po’ nevrotico barricato in cantina per trascorrere di nascosto da tutti la sua settimana bianca. Sedici racconti compongono Il momento è delicato (2012): racconti brevi, brevissimi o più lunghi, alcuni già apparsi su rivista o antologie varie, che coprono un arco temporale molto vasto, dal 1993 al 2012. Storie di vita quotidian, ma anche vicende grottesche e in alcuni casi assurde.

Tratto da: www.treccani.it